BOLOGNA – Nato a Napoli, Vittorio Emanuele aveva solo nove anni quando il 2 giugno 1946 il popolo italiano scelse di diventare una Repubblica, facendo così venire meno la possibilità che diventasse re al posto del padre Umberto II. Niente più monarchia in Italia, e per di più meno di due anni dopo, il 1 gennaio 1948, la Costituzione stabilì che i discendenti maschi della famiglia Savoia andassero in esilio, con divieto di ingresso in Italia. Fu così che i Savoia lasciarono l’Italia e vissero, fino al 2002, tra la Svizzera (dove hanno sempre abitato a Ginevra, città in cui oggi Vittorio Emanuele si è spento), la Francia e Corsica, dove la famiglia possiede la famosa villa sull’esclusiva isola di Cavallo.
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Alla fine del 2002, poi, quando la norma che prevedeva l’esilio degli eredi Savoia fu abolita, la famiglia degli ex monachi potè tornare in Italia: Vittorio Emanuele aveva 65 anni, li figlio Emanuele Filiberto 30. La famiglia reale, in una nota pubblica, prese formalmente le distanze dalle leggi razziali e mise per iscritto che accettava la fine della monarchia, giurando fedeltà alla Costituzione repubblicana e al presidente della Repubblica, esplicitando la rinuncia a qualunque pretesa dinastica sullo Stato italiano. È vero che poi, cinque anni dopo, nel 2007, Vittorio Emanuele fece causa allo Stato italiano chiedendo un risarcimento di 260 milioni di euro per l’esilio e chiedendo che gli venissero restituiti i beni confiscati nel 1948. Chiese poi anche, ma questo nel 2022, la restituzione dei gioielli di famiglia, custoditi da tempo nelle cassette di sicurezza della Banca d’Italia.
Nel corso della sua lunga vita, il figlio dell’ultimo re d’Italia fu accusato di vari reati, dall’omicidio alla corruzione. L’unica condanna, però, che ricevette, fu quella per porto abusivo di armi, per cui venne condannato a sei mesi. Da tutte le rimanenti accuse è stato assolto. La vicenda forse più famosa è quella della morte di Dirk Hamer, un ragazzo tedesco di 19 anni, che venne ferito alla gamba mentre stava dormendo su una barca ormeggiata sull’isola di Cavallo, in Corsica. Avvenne il 18 agosto 1978: il giovane morì diversi mesi dopo, a dicembre, per le conseguenze della ferita d’arma da fuoco.
Vittorio Emanuele, che in quei giorni era in vacanza a Cavallo con la moglie Marina e il figlio Emanuele Filiberto allora bambino di 6 anni, venne accusato di aver sparato due volte con la sua carabina, dopo aver discusso con un gruppo di giovani turisti, tra cui appunto il 19enne ferito. Venne anche arrestato. I suoi avvocati sostennero che in realtà quella notte furono sparati altri colpi e che quello che aveva colpito il giovane non era partito dalla sua carabina. Per l’accusa, invece, il colpo era stato sparato da lui che poi aveva sostituito l’arma incriminata. La vera dinamica non venne mai appurata e non furono trovate prve decisive. Il reato di omicidio volontario di cui era accusato venne a cadere nel novembre 1991 e Vittorio Emanuele fu prosciolto dalla Camera d’accusa parigina e condannato a 6 mesi per porto abusivo di arma, pena sospesa.
L’articolo Vittorio Emanuele, quella vita lontana dall’Italia tra Svizzera e Corsica. Poi il ritorno nel 2002 proviene da Agenzia Dire.
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