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Still Life

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“Still Life” è uno di quei film inaspettati e caldi, capaci di volgerti in positiva una giornata senza troppe attese. Presentato sotto la sezione Orizzonti dell’ultima Mostra del cinema di Venezia, è un’opera delicata e sensibile che si è guadagnata il premio per la miglior regia. Con gioia a dirigerla è un italiano, che vive e lavora oltremanica, Uberto Pasolini (tra l’altro discendente di Luchino Visconti), in passato produttore di Full Monty.  Il protagonista del film, John May, è un funzionario comunale che si occupa della ricerca dei parenti delle persone decedute in solitudine mettendo nel suo lavoro una devozione totale e con una sensibilità che va oltre le sue mansioni occupandosi dei funerali nel modo più consono e legato possibile alla persona. La vita di John viene messa in discussione da un ridimensionamento del personale del suo ufficio e al conseguente licenziamento dell’uomo che comunque chiede al suo superiore dei giorni per concludere la pratica di Billy Stoke un vecchio uomo alcolizzato che ha avuto una figlia. Proprio grazie a questo ultimo caso John, nel paradosso che a volte il caso regala, conosce la vita. Morto tra i morti John May vive per ricomporre la storia di qualcun altro e dando una mano nel passaggio tra questa e l’altra esistenza sconosciuta a tutti noi. Un personaggio che Pasolini segue con grazia e poesia che ha in sé il dono della pietas nei confronti di chi è stato dimenticato. “Still Life” è una di quelle opere rare in cui si parla di argomenti delicati, come la morte e l’addio a questo mondo (soffermandosi in particolar modo sul servizio funebre), con l’insolita prospettiva di coloro che se ne vanno in solitudine e senza famiglia, che ci ricordano l’importanza del rispetto per l’essere umano vivo, morto, emarginato o perfettamente integrato che sia. Insomma, una lezione di umanità che supera ogni barriera e i cui toni pacati lasciano più segni di una scazzottata.

Margherita Diurno

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