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Sacro GRA

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Gianfranco Rosi nel suo documentario “Santo Gra” ha raccontato storie di persone qualunque unite da quella grande autostrada tangenziale che in questo lavoro diventa ciò che unisce realtà diverse, tutte tragicomiche e tipicamente italiane. Il paramedico che sulla sua ambulanza salva le vite di chi, per proprio o altrui errore, rischia di perderle sull’asfalto, l’allevatore di anguille, persone che vivono nelle case popolari così differenti tra loro, le prostitute e l’uomo che ama le palme perché hanno la forma dell’anima dell’uomo: questi sono solo alcuni dei personaggi tassello che Rosi riprende per dar vita a un divertente e a tratti malinconico puzzle. Vite che sognano o si accontentano di pochissimo e che non hanno bisogno di essere caricate o di caricarsi per diventare degne protagoniste di un film che, per una volta, le porta al centro, sul palco dove più di altri, per la curiosità che scuotono, hanno il diritto di stare. A Roma ci sono le mura aureliane (o quel che resta) che a un certo punto delimitavano i confini della città, ci sono le mura vaticane (o quel che resta) che una volta delimitavano il Vaticano e c’è il raccordo anulare che oggi più o meno delimita il centro urbano. Le mura servivano a non far entrare o a controllare chi entra e chi esce, il raccordo serve all’esatto contrario, far circolare e agevolare l’ingresso. A margine del raccordo si muove un’umanità incredibile e Gianfranco Rosi per raccontarne alcune parti ha passato due anni a girarlo raccogliendo ore di materiale accuratamente selezionato ed editato per realizzare “Sacro GRA”, documentario umano sul paesaggio urbano capace di spiazzare e superare qualsiasi cosa pensiamo di sapere su cosa sia, come funzioni e che funzione abbia un documentario. Un punto di riferimento per tutto il cinema da cui in futuro sarà difficile prescindere.

Margherita Diurno

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