Trivellazioni: Clini assicura severità
23 Novembre 2011
Tra Foibe e fobie a Inpastallautore II
24 Novembre 2011

Roberto d’Avascio ci restituisce “l’ultimo elisabettiano”: John Ford

Roberto d’Avascio è docente a contratto di Storia del Teatro e dello Spettacolo presso l’Università degli Studi di Salerno. I suoi principali ambiti di ricerca includono la drammaturgia inglese del Seicento, la polemica religiosa contro il teatro e l’opera teatrale di Sarah Kane. Pur essendo un giovane studioso ha al suo attivo numerose pubblicazioni, collaborazioni ed esperienze tanto da poterlo a ragione accreditare tra i più talentuosi "indagatori" del teatro inglese e non solo. Ieri l'abbiamo incontrato  alla Fnac di Napoli dove si trovava per presentare la sua ultima monografia " La Scena Crudele.

Roberto d’Avascio è docente a contratto di Storia del Teatro e dello Spettacolo presso l’Università degli Studi di Salerno. I suoi principali ambiti di ricerca includono la drammaturgia inglese del Seicento, la polemica religiosa contro il teatro e l’opera teatrale di Sarah Kane. Pur essendo un giovane studioso ha al suo attivo numerose pubblicazioni, collaborazioni ed esperienze tanto da poterlo a ragione accreditare tra i più talentuosi “indagatori” del teatro inglese e non solo. Ieri l’abbiamo incontrato  alla Fnac di Napoli dove si trovava per presentare la sua ultima monografia ” La Scena Crudele.

Performance dell’eccesso nel teatro di John Ford”. Stefano Manferlotti, ordinario di Letteratura Inglese e docente di Letteratura Comparata presso l’ Università Federico II di Napoli, moderatore per l’occasione ha illustrato il lavoro dell’autore partendo da una frase di questo. “Tuttavia – si legge nell’opera- la dimensione onirica del mondo teatrale di Jhon Ford è la crudele terra dell’incubo perpetuo”, la frase è indicativa, racchiude una sorta di nota di regia osserva Manferlotti, che palesa la liberazione del critico dai lacciuoli della lettura accademica. E’ caduta la censura, d’altronde Ford non si può verosimilmente rappresentare in maniera realistica, ricorda ancora il mediatore. Quello che preme sottolineare è come Roberto d’ Avascio abbia restituito al pubblico, ai suoi studenti e alla critica un grande drammaturgo del seicento sorprendentemente ignorato, sia perché offuscato dalla luce del Bardo dell’Avon William Shakespeare, sia perché il mondo intellettuale è ancora ben lungi dall’affrancarsi da quel paradigma assiologico rigidamente classista che ha preteso nei secoli di stabilire cosa fosse arte e cosa non lo fosse. Dove poteva collocarsi la ricerca eversiva e tragica  di un genio dell’incubo come John Ford? Ebbene un posto d’onore glielo affida questo volume, gettando l’estetica di Ford al di là di una prospettiva neoplatonica di arte e approdando alla certezza che il drammaturgo intenda l’arte come creazione. Ford infatti affida questa consapevolezza alle parole di Giovanni, protagonista del suo dramma più famoso  ‘Tis Pity She’s a Whore’ (Peccato che fosse  puttana) < Se vuoi mirare bellezza più perfetta / di quanto arte sappia imitare o natura concepire, / guardati allo specchio e contempla la tua> . E la creazione non può che sostanziarsi attraverso il rito. Il rito dionisiaco di un teatro di formazione, che al contempo conferisce esistenza a se stesso e al pubblico. L’unicità dell’esperienza teatrale è declinata con crudeltà, quest’ultima è intesa alla maniera di Antonin Artaud. Non un sadismo fine a se stesso, ma bensì il rigore, il sacrificio ricercato da tutto il processo creazionale di significazione ai fini di una inevitabile discordante coerenza semantica. Roberto d’Avascio mutua questa concezione proprio da  Antonin Artaud che chiarisce come “Dal punto di vista dello spirito, crudeltà significhi rigore, applicazione e decisione implacabile, determinazione irreversibile, assoluta [… ] Questa è lucida, è una sorta di rigido controllo, di sottomissione alla necessità. .. una sorta di coscienza applicata. [… ]  appetito di vita,  rigore cosmico,  necessità implacabile, nel significato gnostico di turbine di vita che squarcia le tenebre, nel senso di quel dolore senza la cui ineluttabile necessità la vita non potrebbe sussistere […] La creazione e la stessa vita possano essere definite soltanto da una sorta di rigore, e quindi da una fondamentale crudeltà, che conduce a qualunque costo le cose alla loro ineluttabile conclusione”.
Forse il merito più grande da riconoscere a d’Avascio è quello di aver sanato l’incesto tra significante e significato, che ha condotto l’esigua critica ora a naufragare nel formalismo ora nel contenutismo. La crudeltà di questa operazione fuorviante è stata risolta dall’esperto, suggerendoci di John Ford una lettura aperta, svincolata dal possesso di significati regressi o definitivi. L’incubo tragico che interessa l’umanità di Ford infatti non è composto solo di tormenti legati alla finitudine ineluttabile. Ciò che sconquassa l’uomo è la presenza di verità reversibili mai assolute, a voler ammonire che la cruda verità della vita risiede in questo e nel suo contrario.

 

Michela Salomone

Comments are closed.