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Attentato a Maurizio Belpietro

C'é un silenzio inusuale nella redazione di Libero, dopo l'agguato subito ieri sera dal direttore Maurizio Belpietro. Forse anche per le telecamere e i giornalisti delle altre testate venuti per avere qualche notizia e qualche impressione su quanto è successo. C'é decisamente più calma rispetto a ieri, quando Belpietro "con rara freddezza", raccontano i giornalisti, ha chiamato per avvisare di cos'era successo ed è iniziato il lavoro per ribattere il titolo di prima pagina. "Un'ora dopo l'agguato - dicono - stava dettando i titoli".

C’é un silenzio inusuale nella redazione di Libero, dopo l’agguato subito ieri sera dal direttore Maurizio Belpietro. Forse anche per le telecamere e i giornalisti delle altre testate venuti per avere qualche notizia e qualche impressione su quanto è successo. C’é decisamente più calma rispetto a ieri, quando Belpietro “con rara freddezza”, raccontano i giornalisti, ha chiamato per avvisare di cos’era successo ed è iniziato il lavoro per ribattere il titolo di prima pagina. “Un’ora dopo l’agguato – dicono – stava dettando i titoli”. “Il direttore è scosso e anche noi” sintetizza il capocronista Diego Minolzio. La preoccupazione dei giornalisti é per il tipo di agguato compiuto con una pistola, davanti a casa. Un agguato che, dicono, riporta agli anni ’70 e non sembra il gesto di un folle, piuttosto quello di un uomo pericoloso. ”Ha sparato al caposcorta – aggiunge Minolzio -. Se la pistola non si fosse inceppata sarebbe morto”. Il cdr in un comunicato ha definito quello che è successo ieri “il frutto maturo di un’ideologia di violenza e odio” augurandosi che “questo ennesimo episodio serva almeno a risvegliare in tutti quel senso di responsabilità ed equilibrio strangolato da un odio politico che ricorda, tragicamente, altre epoche non troppo lontane”. Anche Belpietro ricorda gli attentati degli anni di piombo, “contro forze dell’ordine e giornalisti” e in particolare “a uno dei primissimi episodi di terrorismo, prima dell’omicidio Calabresi quando un militante della sinistra extraparlamentare aspetto un esponente dell’Msi nell’androne di casa per sparargli, ma invece si ferì”. Di minacce a Libero e ai suoi direttori ne sono arrivate diverse negli anni – bossoli, buste di finta antrace, lettere minatorie – alcune di matrice islamica, altre più legate al terrorismo interno. Da tempo davanti alla sede della redazione in viale Majno a Milano c’é una pattuglia fissa di militari con una jeep. Nel 2007, quando il direttore era Vittorio Feltri, alcuni membri di una cellula delle Br furono arrestati con l’accusa di progettare un attentato incendiario. Però, osservano in redazione, tutto sarebbe dovuto succedere di domenica, quando il giornale è chiuso, senza vittime. Questa volta invece ci poteva scappare il morto. “Io sto bene – rassicura il direttore ai cronisti di tv, quotidiani e agenzie venuti a parlargli -. Sono una persona tranquilla e serena anche se da ieri un po’ meno”. Con lui è presente la scorta, che lo segue da otto anni, ed è appena stata rafforzata. Adesso lo sforzo è per continuare a lavorare come sempre. Questa mattina il direttore non ha cambiato le sue abitudini. Ha fatto il suo programma Tv e poi ha tenuto come al solito la riunione di redazione dove ha rispiegato come è andata la vicenda e ha parlato della valanga di messaggi di solidarietà che gli sono arrivati a partire dalle sei del mattino da Berlusconi in giù. Questa mattina è venuto a trovarlo di persona anche l’ex direttore del Giornale Mario Giordano. “C’é più preoccupazione – ha concluso – ma il lavoro non cambia”.