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Nei Colli Berici i vini nascono tra ville palladiane e castelli

Intervista al direttore del Consorzio vini che promuove il territorio

Milano, 6 giu. (askanews) – I Colli Berici sono una sorta di “altro Veneto”. Queste dolci colline tra i 250 e i 450 metri di altezza che corrono per poco meno di 25 chilometri nella territorio più a Sud di Vicenza, sono infatti una sorta di “oasi” di biodiversità, uno spazio libero dall’incontinente edificazione che caratterizza questa regione. Curiosamente però, a differenza di zone del Veneto ben più compromesse dal punto di vista ambientale, non solo per gli insediamenti commerciali e industriali ma anche per la presenza di monoculture coltivate in maniera intensiva, questo territorio di circa 165 km quadrati è ancora poco conosciuto e merita davvero di essere scoperto.

Un po’ come i suoi vini, la cui qualità è in costante ascesa, a partire da quelli figli dei suoi due vitigni autoctoni, la Garganega e il Tocai Rosso, a cui dai primi dell’Ottocento sono stati affiancati quelli internazionali, con il Franc che qui è stato il primo Cabernet d’Italia a ricevere la Doc. Sempre che fosse effettivamente il Franc, perché per anni è stato confuso con il Carmenére, vitigno originario del Médoc che qui ha avuto un grandissimo successo. Buona parte dei 750 ettari vitati complessivi dei Colli Berici sono circondati da boschi e a fianco delle viti, spesso ci sono gli ulivi. Qui la vite si coltiva fin dalla notte dei tempi, e l’acqua dei due grandi laghi che intorno all’anno Mille bagnava i piedi dei Berici, ha lasciato suoli calcarei, con argille rosse e basalti, che associati alle temperature miti, a una buona escursione termica, e a precipitazioni molto contenute, ha creato un microclima ideale, sopratutto per i vini rossi. Infatti il 72% della superficie vitata della Doc Colli Berici è coltivata a bacca nera (Merlot, Cabernet Sauvignon, Tai Rosso e Cabernet Franc), mentre le uve bianche più allevate sono, nell’ordine, Chardonnay, Pinot Bianco, Sauvignon e Garganega. Ai bordolesi dal lungo affinamento (con un legno qui ancora molto evidente), fa da contraltare il Tai Rosso (figlio del Tocai rosso, e con i medesimi geni del Cannonau sardo, del Grenache francese e della Garnacha spagnola), modernissimo nella sua freschezza e croccante genuinità, in grado, a differenza della versione Riserva, di restituire l’identità del suo terroir e l’autenticità dei suoi vignaioli, oltre che di contenere la gradazione alcolica che qui sui Berici difficilmente scende sotto i 13,5 gradi.

A darsi un gran daffare per promuovere questo territorio, è il Consorzio Vini Colli Berici e Vicenza che tutela due Denominazione: la Doc Colli Berici (1973), la cui produzione annua si attesta su circa 1,7 milioni di bottiglie, e la Doc Vicenza (2000) che fa, a seconda degli anni, tra le 500mila e le 600mila bottiglie. Nato a cavallo tra il 2011 e il 2012 dalla fusione tra il Consorzio Colli Berici (fondato nel 1982) e il Consorzio Vini Vicenza Doc (aperto nel 2000), questo Ente consortile conta oggi 28 soci: 25 Cantine private, due cooperative (Vitevis e Gruppo Cantine Colli Berici che fa parte del Gruppo Collis) e un imbottigliatore (Cielo e Terra Spa, controllata dal Gruppo Cantine Colli Berici). Le due cooperative rappresentano circa l’80% del totale della superficie vitata e il 70% dell’imbottigliato, anche perché la media della vigna delle aziende agricole si aggira intorno ai 10 ettari, nonostante la presenza di aziende importanti come Piovene e Inama.

Da sei anni, a dirigere l’Ente consortile, che rappresenta oltre il 98% delle aziende, c’è Giovanni Ponchia, professionista appassionato e uomo innamorato di queste terre. “Se nel 2022, per la siccità, la produzione in collina è stata inferiore di quasi il 30% rispetto all’anno precedente, la qualità non è diminuita, anzi è in costante crescita e registriamo un aumento del valore medio delle bottiglie: calano quelle nella fascia ‘entry level’, sale la fascia media e qualche produttore entra anche in quella ‘premium’” ha spiegato Ponchia ad askanews, ricordando che i vini vicentini hanno iniziato ad essere premiati sulle guide specializzate e a comparire sui periodici internazionali dedicati al vino. Ad essere consapevoli del buon lavoro svolto da queste aziende private sono anche le Cantine sociali che qui, più che in altri territori, contribuiscono a fare squadra all’interno del Consorzio, consci della necessità di promuovere i vini del territorio in platee diverse. “Il dato dell’export è invece ancora basso – precisa Ponchia – perché si attesta intorno al 40%, con i mercati principali rappresentati da Svizzera, Austria, Germania e Russia”.

Qui, come in altre Denominazioni “minori”, il problema principale è quello di farsi conoscere sia in Italia che all’estero, e una delle chiavi è quella di promuovere un territorio con una natura viva, costellato di castelli, ville palladiane e antichi mulini a ruota verticale, meta ideale per il turismo sostenibile a partire da quello legato al vino. “I Berici impressionano tutti quelli che ci vengono per la prima volta perché si respira un’atmosfera di un altro tempo, è un territorio che ha un insieme di storia, architettura e natura con pochi eguali in Italia” spiega Ponchia, aggiungendo che “c’è cosi tanta storia che facciamo fatica a metterla in fila e a raccontarla. Qui non parliamo di un vino, di una varietà né di uno stile – continua – qui si parla di tanti vini, di tante varietà e di tanti stili diversi: siamo complicati da raccontare e proprio per questo ci dobbiamo impegnare di più”. Preso dunque atto che fare sintesi è impossibile, “siamo convinti che il modo migliore per farci conoscere e apprezzare sia far venire le persone qui perché vedano e tocchino con mano” continua il direttore, spiegando che “negli ultimi due anni ci siamo quindi impegnati a portare in queste zone operatori di lingua tedesca, e nel prossimo biennio ci concentreremo sui Paesi Scandinavi, puntando sui mercati più ricettivi dei vini rossi, magari quelli un po’ più avvezzi ai rossi con gradazioni importanti”. Ma oltre all’incessante attività di promozione classica, il Consorzio si è anche “inventato” una serie televisiva di 14 puntate da 12 minuti continua a leggere sul sito di riferimento