Due fratelli. Due continenti. Due vite. Una sola anima. Sotto un cielo plumbeo, tra i presagi apocalittici di una Napoli all’apice del suo degrado, Sergio, un tassista, riceve una notizia che lo sconvolge. Niente potrà più essere come prima. Ora Sergio si guarda allo specchio e quello che vede è un uomo di quarant’anni, che ha voltato le spalle alla musica e si è perso nel limbo della sua città. Mentre fuori imperversa la tempesta, il suo taxi comincia ad affollarsi di ricordi, di speranze, di rimpianti, di presenze. Prima o poi la pioggia smetterà di cadere ed il cielo si aprirà. E da lì verrà la fine. O tornerà la musica.La scoperta di un’arte che si tramanda da padre a figlia, da maestro ad allievo e che può essere acquisita e coltivata soltanto da chi non teme di tenere gli occhi aperti. “L’arte della felicità” è un film di animazione che sdogana il retro pensiero, tutto italiano, che questo tipo di film non sia destinato a un pubblico adulto. Alla sua prima esperienza cinematografica, Rak riesce perfettamente a delineare il processo di cambiamento interiore che caratterizza il protagonista grazie ad una narrazione frammentata da continui flashback che portano alla memoria di Sergio il fratello ormai deceduto e da immagini metaforiche che introducono ogni cambiamento interiore del protagonista, sono contornate da una colonna sonora ricercata ed accurata che riesce ad entrare in maniera ineccepibile nel contesto di ogni singolo avvenimento. Attraverso la metafora del viaggio fisico di Sergio, Rak ci mostra il viaggio spirituale che affronta il protagonista che riesce a superare il disagio di convivere con una morte inaspettata grazie anche a pillole di filosofia zen che contestualizzano perfettamente l’emotività di Sergio. Gli amanti di un cinema “diverso”, appassionati delle filosofie orientali, saranno soddisfatti e orgogliosi di vedere una simile storia ambientata, prodotta e pensata in Italia.
Margherita Diurno