Nel 1887, per la prima dell’Otello di Verdi alla Scala, i bagarini vendono i biglietti a 300 lire: lo stipendio di un anno di un operaio o di un bracciante. Nel 1898 Fernando De Lucia prese un ingaggio di 2100 lire al San Carlo di Napoli, molto di più di quanto avrebbero guadagnato, negli anni ’50 del ‘900, star come Maria Callas, Renata Tebaldi o Mario Del Monaco. Nel 1905, a San Pietroburgo, Titta Ruffo strappò un contratto per 66 recite a 1500 lire l’una. “Tornando a casa nell’ appartamento senza ascensore di Milano dei fratelli, tirò fuori da sotto la camicia 100 mila lire in banconote e le buttò in aria coprendo il pavimento”.
Sono frammenti di una vicenda importante che ci racconta la storia del nostro Paese. Perché l’evoluzione della musica e dell’industria musicale (come si vede alla fine dell’800 la Lirica era un’industria floridissima) corre parallela a quella dell’Italia e ce ne racconta i caratteri essenziali. Quello di Prato è un bellissimo libro che conduce lungo un tragitto che va da Verdi ai talent show e che, con un’inappuntabile quanto ricchissima documentazione, spiega come si sia formato e in cosa consista il concetto di italianità in musica. Prato è uno studioso che ha un approccio aperto alla materia ed evita il rischio delle classificazioni in generi o delle distinzioni tra colto e popolare. Due categorie, come lui stesso racconta con chiarezza, che si sono mescolate e influenzate reciprocamente. Basta pensare a Verdi che tiene segrete le arie delle sue nuove opere per evitare che venissero cantate dal popolo “prima della prima”. “Il libro – scrive Prato – si propone di raccontare gli sviluppi della musica nata in Italia dall’Unità a oggi, cercando di aggirare il pesante fardello dei generi attraverso diversi modi di districare il nodo degli intrecci con la storia, la politica, le mentalità, i comportamenti, la tecnologia e il mercato… Il libro è diviso in sette capitoli, secondo un percorso cronologico, ognuno dei quali abbraccia un periodo di venti-venticinque anni: più o meno una generazione, l’arco temporale minimo per poter parlare di cambiamenti”. ‘La musica italiana’ non è solo un libro di storia. Per l’originalità dell’approccio, per la ricchezza di informazioni, per la qualità, la pertinenza e la varietà dei riferimenti culturali, per la sua assoluta godibilità a dispetto di un apparato critico davvero imponente si propone come un esempio felice in cui la cultura è messa al servizio del racconto. E che dimostra come la musica sia uno strumento privilegiato per capire da dove veniamo.
Maria Colorito