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Il vero romanzo della “monnezza”

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Oggi, per capire certi misteri del nostro paese, a cominciare da quello della mondezza a Napoli, bisogna leggere racconti e romanzi come questo di Francesco De Filippo, che arriva dopo ‘L’affondatore di gommonì e ‘Sfregio’ sull’immigrazione clandestina dall’Albania e sulle regole feroci della malavita dai contatti internazionali dei nostri giorni. Sono fatti di cui molti potrebbero dire, come una volta Pier Paolo Pasolini, a proposito di alcune trame degli anni ’70, ”io so, ma non ho le prove”, quindi per raccontarvi come stanno le cose ecco la necessità della forma romanzo, con la libertà di un’opera di invenzione, che è invece estremamente realistica, tanto che molti punti di riferimento e luoghi sono veri. De Filippo ci racconta come nacque Pianura, nome ormai noto alle cronache quotidiane, o meglio lo fa raccontare a Totore ‘o marenaro che, per qualche pasto, riferisce tutto a una troupe televisiva. Ecco una prima palazzina abusiva che ne attira la nascita di altre, ma ogni volta si tratta di mettersi d’accordo con chi già ha costruito, di scendere a patti, di ottenere tutti qualcosa, puntando sulle necessità e le debolezze famigliari di ognuno, da quello che ha la moglie molto carina e che fa la puttana, potendo così tener buona molta gente, al funzionario pubblico che ha la sorella zitella, la madre e due zie che hanno bisogno di un appartamento da qualche parte. “Mò dove una volta non ci stava niente, insomma, ci stavano due palazzi e ‘na villa di Hollywood. Se il pozzo era bastato per tutti e tre, mo’ si cominciava invece a creare nu problema cà munnezza”: così semplicemente nasce un quartiere che ha problemi di urbanizzazione e con i servizi che nessuno vuole pagare. Per riuscirci ci si rivolge a chi di dovere, al boss del luogo, in un gioco di rimandi da una persona all’altra, di raccomandazioni, di piccoli favori, cominciando col parroco di una parrocchia, anch’essa abusiva, che va dal vescovo portandogli i biscotti all’anice di cui è ghiotto. E’ un gioco minimo di piccole corruzioni quotidiane a catena che coinvolge tutti, da chi si prende solo due biglietti per il cinema o il teatro a chi pretende aumenti si stipendio e promozioni. Il racconto ci mostra così come funziona il tessuto sociale camorristico, via via che l’amministrazione pubblica cede il passo, si lascia intimidire e corrompere, e come questo sia una sorta di contagio che si propaga e alla fine diventa l’unico metodo per sopravvivere, anche se il risultato, alla fine, è che tutto si rivolti contro i più deboli, gli anelli alla base della catena. E’ il ritratto di un paese e della perdita della dignità di un popolo che affonda nel compromesso e, non riuscendo a ottenere il rispetto dei propri diritti, comincia a giocare di rovescio. E’ quel che accade con le discariche che nascono abusive e dove i camion della nettezza urbana vanno a scaricare, perché gli viene intimato da quelli ai quali è molto rischioso dire di no, e che, magari, debbono coprire con monnezza normale strati di rifiuti tossici che vengono da lontano, con fanghi che diventano fosforescenti, animali e prodotti agricoli che fanno male, ma assieme netturbini assunti a centinaia, appalti fasulli o con camion per la spazzatura vecchi e inadeguati che trovano l’acquirente necessario. De Filippo racconta tutto quello che intuivamo e quello che non avevamo ancora capito, con ogni tassello che trova il suo giusto posto per comporre quel grande puzzle cui ci troviamo davanti quando leggiamo il giornale, e lo fa in maniera vivace, con un linguaggio colorito e vero e riuscendo a realizzare una metafora amara “che da fenomeno reale si trasforma addirittura in una metafisica della condizione umana”, come ha scritto Andrea Camilleri.

Maria Colorito

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