Hina, ragazza pachistana che si sentiva italiana e non rispettava le regole e che, per questo, è stata sgozzata dal padre. Con il linguaggio asciutto della cronaca, Giommaria Monti e Marco Ventura raccontano la tragedia di quella “bambolina” con i jeans – come la chiamava il fidanzato Beppe – che non aveva paura e testardamente voleva scegliere la sua vita. E che, solo per questo, ha lasciato i suoi 20 anni dentro la fossa di fango di un giardinetto del bresciano. Nessuna concessione alla retorica, nessuna sofisticata analisi da think-tank sullo scontro di due civiltà in questo libro coinvolgente che si fa leggere come un romanzo.
Solo gli eventi di un quotidiano fatto di angoscia, violenza e fuga, a raccontare il fragore sordo dello spegnersi di una vita che non apparteneva più né al Pakistan né all’Italia, né all’Asia né all’Occidente, e tentava una sintesi disperata destinata alla sconfitta. “Cari carabinieri, come state? Ma so che state bene. Io no, ho paura che mi mandino da qualche parte… So solo che mi faranno del male”. Tra ingenuità, esuberanza e consapevolezza, scriveva così, agli amici dell’Arma della stazione di Villa Carcina, la giovane che non voleva essere un’eroina ed è diventata il simbolo dell’integrazione negata: questa volta, paradossalmente, non dal razzismo di un luogo che ha rifiutato i ‘diversi’, ma dalla violenza di una famiglia ostinatamente legata a una tradizione che ha prevalso anche sulla vita. “All’inizio frequentavo i miei amici a Brescia e vedevo quello che facevano loro – è il racconto in prima persona di Hina – che andavano in discoteca, a ballare, e io ero un po’ gelosa perché non potevo permettermi tutte queste cose. Più crescevo e più la mia religione non me lo permetteva e io, maturando qua in Italia, avevo altri pensieri. Non avevo più il modo di vivere che avevo prima in Pakistan. Volevo fare le cose che magari facevano tutte le altre mie amiche: andare fuori a divertirmi, scherzare, ridere. Volevo finire la scuola, andare a Milano e farmi la mia vita. Ma per i miei genitori, che seguono le tradizioni pakistane, la scuola e il lavoro non sono cose importanti. Per loro una ragazza dovrebbe occuparsi della casa e dei fratelli”. Alle testimonianze di Hina, gli autori affiancano e sovrappongono la ricostruzione della vita, e della morte, in Italia. Un lungo, intenso, piano sequenza che scandisce i tempi dei fatti e ignora – per raffinata scelta – le finzioni complesse della narrativa e gli intriganti ammiccamenti delle vicende di tutti i giorni intrecciate agli scenari della geo-politica o della sociologia di sistema. Nel libro di Monti e Ventura la piccola e la grande Storia sono la stessa cosa. Tutti possono leggere, tutti possono capire. E’ questa la sua bellezza.
Maria Colorito