“Le udienze in videoconferenza nel processo tributario sono un fallimento: per problemi tecnici, per scarsità di dotazioni e forse per una carente dimestichezza col mezzo tecnologico da parte degli organi giudiziari.
La naturale conseguenza è che, a quattro mesi dall’approvazione delle regole tecniche per lo svolgimento delle udienze da remoto, la maggioranza delle Commissioni Tributarie procede ancora con l’udienza ‘cartolare’, ossia con il deposito di memorie scritte e senza alcuna discussione orale tra le parti in giudizio.
Il rischio è che questa trattazione documentale potrebbe non consentire alle parti di comprendere tutti gli aspetti critici del contenzioso, portando ad uno svilimento di diritti garantiti quali l’effettività del contraddittorio e il diritto di difesa”.
Lo ha detto Matteo De Lise, presidente dell’Unione nazionale giovani dottori commercialisti ed esperti contabili.
“Riteniamo che in questo contesto sfruttare la tecnologia sia necessario. Nell’ambito del contenzioso tributario, una maggiore spinta verso l’udienza da remoto potrebbe contribuire a un ritorno ai livelli di efficienza che la giustizia tributaria ha registrato poco prima della pandemia, dando così finalmente attuazione alla normativa sulle udienze a distanza”, ha evidenziato De Lise.
“D’altronde, risale addirittura al 2018 la norma (art. 16, comma 4 della legge n. 136/2018) che ha concesso la possibilità della partecipazione alle udienze a distanza, di fatto equiparando il luogo dove avviene il collegamento da remoto all’aula di udienza”.
“Un altro particolare importante riguarda le udienze in videoconferenza attivate unicamente dalle Commissioni Tributarie in possesso delle “necessarie dotazioni informatiche”.
Contesto, a tal proposito, più volte definito a “macchia di leopardo”, come si evince nel documento redatto dal coordinamento regionale Ungdcec Emilia-Romagna in merito a quanto accaduto nelle Commissioni tributarie locali, laddove la possibilità di procedere con la trattazione in videoconferenza è stata concessa solo in rarissimi casi”.
“Insomma – conclude De Lise – una situazione per niente priva di diseguaglianze territoriali e che porta con sé il rischio che al “collo di bottiglia” rappresentato dai giudizi pendenti in Cassazione, si aggiunga quello del pregresso di merito, dovuto alle difficoltà di smaltimento che l’emergenza sanitaria ha contribuito a produrre”.
Antonio Franchini
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