Gianfranco Fini sceglie una cena di militanti e iscritti piemontesi al Fli per rinnovare l’attacco a Silvio Berlusconi al quale manda a dire che “chi è eletto per governare non può sentirsi un sovrano al di sopra delle leggi”, e che “non ci si può difendere dai processi, ma nei processi”. A più di 600 futuristi giunti a Pecetto, sulle colline torinesi, da tutto il Piemonte, Fini spiega che Berlusconi, lui che aveva coniato la felice espressione del “teatrino della politica”, né è diventato il protagonista e che, “se continua di questo passo”, dopo comunisti, giornalisti, magistrati, “alleati che non hanno capito” e “coloro che avrebbero tradito”, “se la prenderà con gli alieni”.
Al centrodestra Fini non fa sconti: “I problemi – dice – non si risolvono con la bacchetta magica: vogliamo un Centrodestra che smetta di raccontare favole ai bambini e che dica agli italiani che bisogna bere delle medicine amare”. La legalità è al centro dell’intervento del Presidente della Camera a una “cena informale organizzata – spiega il coordinatore del Piemonte del Fli, Roberto Rosso – per stringere intorno al Presidente Fini tanti amici”. “Chi è eletto per governare – è il richiamo di Fini – quando è chiamato a rispondere del suo operato deve presentarsi davanti a coloro che, Costituzione alla mano, sono deputati a farlo nelle aule dei Tribunali”. Ma oltre alla legalità, ai militanti piemontesi del suo partito Fini ricorda “le bandiere della moralità e del decoro che – dice – abbiamo intenzione di tenere alte”. “E’ uno scempio – è il suo affondo – una realtà in cui si garantisce l’elezione nel listino bloccato a chi non ha altro che una certa presenza fisica e una predisposizione a fare cose che non hanno nulla a che vedere con la politica”. Di questo scempio – aggiunge – “non si può tacere” perché vorrebbe “dire essere corresponsabili. Noi – ricorda ai suoi – non abbiamo taciuto quando eravamo nel Pdl e non abbiamo bisogno di farlo ora”. Fra gli agnolotti e il cosciotto all’uva della collina torinese, Fini torna a citare il film di Albanese, si chiede se “Cetto La Qualunque è una drammatica finzione o una realtà” e poi osserva che il successo del film sta “nel fatto che in apparenza è una finzione, ma è anche la fotocopia della realtà”. La conclusione ha il sapore dell’esortazione all’impegno civile e politico: “Quello che ci aspetta domani è ancora peggiore se non vi poniamo mano”.