A Venezia il progetto accumulativo di Christoph Buchel
Venezia, 4 mag. (askanews) – Il debito come elemento alla base dalla nostra stessa società; le stratificazioni di storie e oggetti, di tempo e di pratiche artistiche; l’accumulazione come strategia interpretativa per una realtà che è, comunque, troppa. Ci sono tanti modi per entrare nella mostra che Fondazione Prada ha presentato a Venezia, nella sede di Ca’ Corner della Regina, un progetto espositivo dell’artista Christoph Buchel intitolato “Monte di pietà”, in relazione alla funzione che lo stesso palazzo ha svolto tra il 1834 e il 1969. Il luogo dei pegni, del bisogno, del riscatto, del debito, appunto.Si tratta di una istallazione totalizzante, sovraccarica, oppressiva anche. Ma pure di uno spazio di possibilità e di libertà, nel momento in cui il visitatore trova la propria strada all’interno delle sale e delle cose. Forse il segreto è andare alla ricerca del debito che ciascuno ha nei confronti di un’idea, di una storia, di un’opera d’arte. E da lì partire per individuare un percorso personale, facendosi largo tra l’accavallarsi dei tempi e delle disillusioni. Per arrivare a oggetti feticcio, come la celeberrima “Merda d’artista” di Piero Manzoni, oppure a uno schermo che trasmette uno spot video di Chris Burden, a sua volta una sorta di artista feticcio della contemporaneità, o ancora ai dollari del grande artista brasiliano Cildo Meireles o alla valigia dei diamanti realizzati in laboratorio dello stesso Buchel. Pietre che sono il risultato di un processo fisico e simbolico di distruzione e trasformazione dell’intero corpus di opere in possesso dell’artista, comprese quelle create nel corso della sua infanzia e giovinezza così come quelle non ancora realizzate.Tavole imbandite e abbandonate, camere da letto, motociclette, opere digitali e stanze di sorveglianza. Ogni passo nella mostra è una sfida, ma può anche rappresentare il rinnovarsi del nostro dipendere – del nostro debito – nei confronti della cultura, materiale e visiva, concreta come le lettere mai aperte o immateriale come l’immaginario, che spazia da Donald Trump alla Pietà di Michelangelo, dai disegni sui quaderni dei bambini fino agli archivi del tutto. C’è poi una componente legata all’indagine sulle valute digitali e la creazione e distruzione di valore, che sposta ulteriormente in avanti la portata del progetto. Dentro il quale l’unica cosa sensata da fare sembra essere quella di perdersi, per scoprire altri modi per vivere – ed essere se stessi – nell’unico spazio che abbiamo, quello del contemporaneo.
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