GERUSALEMME – L’Unione Europea ha il dovere di garantire assistenza e servizi di base alle comunità palestinesi laddove Israele, potenza occupante, non se ne fa carico violando gli obblighi del diritto umanitario internazionale: così Sven Kuhn von Burgsdorff, rappresentante dell’Ue a Gerusalemme per la Cisgiordania e la Striscia di Gaza. L’occasione delle dichiarazioni è un incontro con i giornalisti a margine della visita a un progetto di cooperazione allo sviluppo.
GLI ACCORDI DI OSLO ANCORA NON ATTUATI
Il diplomatico fa riferimento agli Accordi di Oslo, firmati nel 1993, che prevedono la nascita di uno Stato palestinese comprendente Gerusalemme est, la Cisgiordania e la Striscia di Gaza, in grado di sopravvivere e di essere realmente indipendente nell’arco di cinque anni. Sulla base dell’intesa, sostenuta anche dall’Ue e di fatto non ancora attuata, nella iniziale fase di transizione la Cisgiordania è suddivisa in tre zone con diversi gradi di autonomia, con agli estremi l’area “a” amministrata dall’Autorità nazionale palestinese (Anp) e la “c” sotto il controllo di Tel Aviv sia sotto il punto di vista della sicurezza che dei servizi alla popolazione.
LE RESPONSABILITÁ DI ISRAELE
Secondo Von Burgsdorff, in quanto potenza occupante in Cisgiordania sin dai tempi della guerra del 1967 Israele ha una serie di responsabilità. “Ai sensi della Convenzione di Ginevra”, sottolinea il rappresentante, “è tenuto a curare il benessere della popolazione, in particolare nell’area ‘c’ sotto il suo controllo, estesa su oltre il 60 per cento del territorio della regione”. Ma c’è di più: “Se Israele, che è il solo garante della sicurezza, non fornisce servizi sanitari, scuole o infrastrutture, Paesi terzi hanno il dovere di intervenire per far rispettare il diritto umanitario internazionale”. Il diplomatico sottolinea che l’Ue e i suoi Paesi membri non “possono” ma “sono tenuti” a offrire aiuto. Stando a questa visione, la prospettiva politica resta quella dello Stato palestinese prefigurato dagli Accordi di Oslo; quella sociale riguarda invece la sopravvivenza delle comunità e la lotta contro povertà ed esclusione.
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A confermarlo in un’intervista con l’agenzia Dire è Ibrahim Laafia, responsabile per la Cooperazione allo sviluppo della rappresentanza europea. “La strategia dell’Ue”, sottolinea il dirigente, “mira a offrire supporto perché un futuro Stato palestinese sia in grado di governare in modo efficiente, garantire i servizi di base come l’istruzione e la sanità, migliorare l’accesso ad acqua potabile ed energia, sviluppare l’agricoltura e affrontare sfide globali come il cambiamento climatico”. Anche in questo caso attenzione particolare è dedicata all’area “c”. “È decisiva per la sopravvivenza del futuro Stato”, sottolinea Laafia, “ed è quella dove i palestinesi hanno le difficoltà maggiori”.
LA STRATEGIA UE
Prima di realizzare scuole, impianti di irrigazione o altre opere a tutela delle comunità locali, l’Ue informa regolarmente Israele. La procedura prevede da parte europea un’attesa di 18 mesi, superati i quali anche in assenza di un’autorizzazione espressa i progetti vengono realizzati. La strategia Ue si fonda su una pianificazione. “Per il periodo 2021-2024 l’impegno è nel complesso di tre miliardi e 200 milioni di euro, cioè di 800 milioni l’anno” sottolinea Laafia. “Solo da Bruxelles arrivano invece 300 milioni, in parte destinati a Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite che assiste i rifugiati palestinesi, a Gerusalemme est, in Cisgiordania e a Gaza ma anche in Libano, Giordania e Siria. “L’organizzazione sta attraversando una fase di difficoltà finanziarie” riferisce Laafia. “L’anno scorso ha registrato un deficit di 75 milioni e proprio in questi giorni ci sono scioperi di insegnanti e infermieri suoi dipendenti che protestano contro ritardi e tagli degli stipendi”.
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