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Ecco ‘Cambiamo rotta’, il primo libro bianco illustrato su carcinoma ovarico

ROMA – Il 70% delle donne con tumore ovarico conosce già la malattia prima della diagnosi: un netto ribaltamento della percentuale rispetto a 10 anni fa, dove appena il 30% ne aveva sentito parlare. Meno di tre pazienti su dieci, però, scelgono di curarsi in un centro specializzato per questa neoplasia, ignorando quanto tale decisione possa fare la differenza nel percorso di cura. Ancora: il 70% delle pazienti scopre il tumore quando è già in fase avanzata a causa di sintomi aspecifici e per la mancanza di strumenti di screening efficaci. Questi sono solo alcuni dei risultati dell’indagine condotta da ACTO Italia su oltre 100 pazienti sul territorio nazionale e contenuti in ‘Cambiamo rotta’, il primo libro bianco illustrato di voci, bisogni e proposte delle donne con tumore ovarico che è stato presentato al ministero della Salute.

Il libro è stato realizzato grazie al contributo di oltre 20 professionisti, tra clinici ed esperti, e alle testimonianze di 9 donne che raccontano il proprio viaggio lungo il percorso di diagnosi e cura. Di rilievo anche i contributi dei rappresentanti istituzionali, che si sono dimostrati sensibili al tema, tra cui la prefazione del ministro della Salute Orazio Schillaci.

Il progetto ‘Cambiamo rotta’, presentato a pochi giorni dalla Giornata Mondiale dei Tumori Ginecologici che cade il 20 settembre, è promosso con il patrocinio di ACTO Italia, Alleanza contro il Tumore Ovarico ETS, e sponsorizzato da GSK e Roche. Ha inoltre ricevuto il patrocinio di AIOM (Associazione Italiana Oncologia Medica), MaNGO (Mario Negri Gynecologic Oncology group), MITO (Multicenter Italian Trials in Ovarian cancer), Salute: un bene da difendere un diritto da promuovere, SIC (Società Italiana di Cancerologia), e l’adesione delle Associazioni Loto e Mai più sole. Madrina d’eccezione Nancy Brilli.

L’incontro è stato l’occasione di confronto tra clinici, rappresentanti istituzionali, associazioni di pazienti ed enti di ricerca e cura, per individuare strategie per una più efficiente e omogenea presa in carico delle donne con tumore ovarico, alla luce delle sfide della medicina del territorio
e delle opportunità offerte da innovazione terapeutica, diagnostica e digitalizzazione.
‘È necessario e urgente- afferma la Presidente ACTO Italia, Nicoletta Cerana– promuovere un nuovo cambio di rotta nella gestione del tumore ovarico. Bisogna restare sulle strade buone che ci hanno portato fin qui, ma contemporaneamente aprire nuovi percorsi per continuare ad innovare. Quali? Aumentare l’informazione sulla malattia e sui centri specializzati per promuovere scelte di cura più consapevoli; sostenere la ricerca per la diagnosi precoce che ancora oggi resta una chimera; aprire ai test genomici per rendere possibili le cure personalizzate; cominciare a parlare di sessualità e oncologia, un ambito di bisogni del tutto dimenticato che sta emergendo sempre più forte da parte delle pazienti. Si vive di più anche
con il tumore ovarico, di conseguenza è diventato necessario prendersi cura della persona, oltre che curare la malattia’.
Il Manifesto ACTO 2.0 sintetizza le sette azioni prioritarie per migliorare la presa in carico globale delle donne con tumore ovarico ed è stato redatto a partire dall’analisi dei loro
bisogni e dalle indicazioni dei maggiori clinici ed esperti in quest’ambito. ‘Negli ultimi 5 anni- sottolinea la professoressa Nicoletta Colombo, Università Milano-Bicocca, Direttore Programma Ginecologia, Istituto Europeo Oncologia- è accaduto quello che io definisco uno tsunami nel trattamento del carcinoma ovarico: per la prima volta siamo riusciti ad aumentare la percentuale di pazienti potenzialmente guarite. Abbiamo scoperto, infatti, il primo ‘bersaglio’ del tumore ovarico che può essere colpito con farmaci mirati: si chiama Deficit della Ricombinazione Omologa (HRD)’.
‘Il deficit- precisa- è presente nei tumori di tutte le pazienti con mutazioni BRCA e di un altro 25% di pazienti senza mutazioni di questi geni: quindi nella metà dei casi totali. Bisogna perciò garantire due tipi di test: quelli genetici, soprattutto a scopo di prevenzione delle persone sane, e quelli genomici sul tessuto tumorale, come il test HRD, per personalizzare le cure nelle donne malate’.
La ricerca di ACTO Italia mostra che meno della metà delle pazienti (45%) accede alla profilazione genomica. C’è inoltre ancora un 12% di pazienti a cui non è stato proposto il test
genetico per le mutazioni BRCA. Ad oggi, però, solo la ricerca delle mutazioni BRCA (test genetico) è nei Livelli essenziali di assistenza (Lea), mentre la ricerca di HRD (profilazione genomica) non è ancora rimborsata dal Sistema sanitario nazionale.

‘Il rischio- sottolinea Umberto Malapelle, Chair del Laboratorio di Patologia Molecolare Predittiva, Dipartimento di Sanità Pubblica, Università degli Studi Federico II di Napoli- è
che non tutte le pazienti possano accedere ai test in modo uniforme sul territorio e, di conseguenza, non abbiano le stesse opportunità di cura. La ricerca, inoltre, procede molto velocemente e, a mio avviso, i Lea dovrebbero prevedere, più in generale, la profilazione genomica estesa, lasciando agli esperti la decisione di quale tipo di strategia utilizzare in
relazione al quesito clinico’.

I test rappresentano quindi un requisito essenziale per garantire a ogni paziente una strategia terapeutica personalizzata. ‘I risultati di questa personalizzazione- aggiunge Domenica Lorusso, Professore associato di ostetricia e ginecologia presso Università Cattolica del Sacro Cuore e Responsabile UOC programmazione ricerca clinica presso Fondazione Policlinico Gemelli Irccs – riguardano soprattutto la terapia medica e di mantenimento, e si traducono in una opportunità concreta di attingere a nuove classi di farmaci mirati e a bersaglio molecolare (PARP inibitori, immunoterapie, anticorpi farmaco coniugati )che richiedono una gestione e una presa in carico di un team multidisciplinare. Da qui l’esigenza di identificare i centri oncologici specializzati dove queste pazienti possono essere curate’.
Le donne però non ne sono consapevoli: come evidenziano i dati dell’indagine ACTO Italia, infatti, solo il 27% delle pazienti dichiara di aver scelto il proprio centro in base alla
specializzazione nel trattamento del carcinoma ovarico. ‘Questo è un aspetto centrale soprattutto quando parliamo del trattamento chirurgico, che oggi- afferma Giovanni Scambia, Direttore UOC Ginecologia Oncologica – Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli Irccs di Roma- rappresenta la terapia d’elezione in tutte le fasi della malattia: nello stadio iniziale, dove l’intervento e la chemioterapia permettono di raggiungere tassi continua a leggere sul sito di riferimento