Vie per risolvere i conflitti personali e sociali
Roma, 18 mar. (askanews) – Negli ultimi trent’anni la globalizzazione ha reso sempre più complessa la definizione di giustizia. Nel tempo della post-democrazia gli Stati nazione sono sempre più deboli mentre crescono i nuovi Imperi che dilatano confini, pongono questioni radicali sul rapporto tra la sicurezza e la libertà individuale e gestiscono le paure e i sentimenti delle persone attraverso l’intelligenza artificiale e il Metaverso. Quale sarà il modello di giustizia del futuro? Quali le condizioni minime per ricostruire la giustizia nella storia?
Con il volume “Le radici della Giustizia. Vie per risolvere i conflitti personali e sociali”, in uscita per Edizioni San Paolo il prossimo 20 marzo, Francesco Occhetta si interroga su come rifondare la giustizia attraverso una conversione culturale che contrapponga alla visione retributiva quella riparativa, che si fonda sull’interrogativo: cosa può essere fatto per riparare il danno? Come mettere in pratica il “saper rendere giustizia” che il Re Salomone domandò in dono a Dio?
La giustizia è la cartina al tornasole per valutare la qualità e la vita dei governi e delle democrazie. È anche la virtù che può trasformare il mondo a partire da scelte personali giuste e rette. Francesco Occhetta, gesuita, fondatore e direttore di Comunità di Connessioni, segretario generale della Fondazione Fratelli tutti, già autore di Ricostruiamo la politica e Le politiche del popolo, e docente alla Facoltà di Scienze Sociali della Pontificia Università Gregoriana, accompagna il lettore in un cammino segnato da alcune tappe: il significato della giustizia oltre le immagini della spada e della bilancia; la giustizia biblica e i suoi insegnamenti; il modello della giustizia riparativa come antidoto alla vendetta; il carcere e le sue contraddizioni; le vittime dei reati e il loro dolore; l’etica e la deontologia dei magistrati; la promozione della giustizia ambientale. Dare la possibilità a chi sbaglia di comprendere il proprio male è l’inizio per ogni incontro con il dolore delle vittime. Ascoltare questo appello e rispondervi è una responsabilità etica. Ma occorre fare una scelta culturale.
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